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Nella caccia alla volpe inglese si può osservare ogni giorno con quanta precisione la volpe sappia impiegare la sua grande conoscenza dei luoghi, per sfuggire ai suoi persecutori, e quanto ben conosca e utilizzi tutte le particolarità del terreno atte a interrompere la traccia. Nel caso dei nostri animali domestici più altamente sviluppatisi nella consuetudine con l'uomo, possiamo osservare ogni giorno atti di scaltrezza che stanno assolutamente allo stesso livello di quelli che fanno i piccoli dell'uomo. Poiché, come la storia dello sviluppo del seme umano nel grembo materno non rappresenta altro che un'abbreviata ripetizione della storia dello sviluppo, lunga milioni di anni, degli organismi degli animali nostri antenati, a partire dai vermi, così lo sviluppo spirituale del piccolo dell'uomo non rappresenta che una ripetizione, ma solo ancor abbreviata, dello sviluppo intellettuale di quegli antenati, perlomeno dei più recenti. Ma nessuna preordinata azione di nessun animale è riuscita a imprimere sulla terra il sigillo della sua volontà. Ciò doveva essere proprio dell'uomo.
Insomma, l'animale si limita a usufruire della natura esterna, e apporta ad essa modificazioni solo con la sua presenza; l'uomo la rende utilizzabile per i suoi scopi modificandola: la domina. Questa è l'ultima, essenziale differenza tra l'uomo e gli altri animali, ed è ancora una volta il lavoro che opera questa differenza. Non aduliamoci troppo tuttavia per la nostra vittoria umana sulla natura. La natura si vendica di ogni nostra vittoria. Ogni vittoria ha infatti, in prima istanza, le conseguenze sulle quali avevamo fatto assegnamento; ma in seconda e terza istanza ha effetti del tutto diversi, impreveduti, che troppo spesso annullano a loro volta le prime conseguenze. Le popolazioni che sradicavano i boschi in Mesopotamia, in Grecia, nell'Asia Minore e in altre regioni per procurarsi terreno coltivabile, non pensavano che così facendo creavano le condizioni per l'attuale desolazione di quelle regioni, in quanto sottraevano ad esse, estirpando i boschi, i centri di raccolta e i depositi dell'umidità. Gli italiani della regione alpina, nell'utilizzare sul versante sud gli abeti così gelosamente protetti al versante nord non presentivano affatto che, così facendo, scavavano la fossa all'industria pastorizia sul loro territorio; e ancor meno immaginavano di sottrarre, in questo modo, alle loro sorgenti alpine per la maggior parte dell'anno quell'acqua che tanto più impetuosamente quindi si sarebbe precipitata in torrenti al piano durante l'epoca delle pioggie. Coloro che diffusero in Europa la coltivazione della patata, non sapevano di diffondere la scrofola assieme al bulbo farinoso. Ad ogni passo ci vien ricordato che noi non dominiamo la natura come un conquistatore domina un popolo straniero soggiogato, che non la dominiamo come chi è estraneo ad essa, ma che noi le apparteniamo con carne e sangue e cervello e viviamo nel suo grembo: tutto il nostro dominio sulla natura consiste nella capacità, che ci eleva al di sopra delle altre creature, di conoscere le sue leggi e di impiegarle nel modo più appropriato. E, in effetti, comprendiamo ogni giorno più esattamente le sue leggi e conosciamo ogni giorno di più quali sono gli effetti immediati e quelli remoti del nostro intervento nel corso abituale della natura. In particolare, dopo i poderosi progressi compiuti dalla scienza in questo secolo, siamo sempre più in condizione di conoscere, e quindi di imparare a dominare anche gli effetti naturali più remoti, perlomeno per quello che riguarda le nostre abituali attività produttive. Ma quanto più ciò accada, tanto più gli uomini non solo sentiranno, ma anche sapranno, di formare un'unita con la natura, e tanto più insostenibile si farà il concetto, assurdo e innaturale, di una contrapposizione tra spirito e materia, tra uomo e natura, tra anima e corpo, che è penetrato in Europa dopo il crollo del mondo dell'antichità classica e che ha raggiunto il suo massimo sviluppo nel cristianesimo. Ma se è stato necessario il lavoro di millenni sol perché noi imparassimo a calcolare, in una certa misura, gli effetti remoti della nostra attività rivolta alla produzione, la cosa si presentava come ancor più difficile per quanto riguarda i più remoti effetti sociali di tale attività. Abbiamo citato il caso delle patate e della scrofola, diffusasi col loro diffondersi. Ma cos'è la scrofola di fronte agli effetti che provocò sulle condizioni di vita delle masse popolari di interi paesi il fatto che i lavoratori fossero ridotti a cibarsi di sole patate? di fronte alla carestia che colpì l'Irlanda nel 1847 in conseguenza della malattia che distrusse le patate, e fece finire un milione di irlandesi che si nutrivano di patate e quasi esclusivamente di patate, sotto terra, altri due milioni al di là del mare? Quando gli arabi impararono a distillare l'alcool non si sognavano neppure di aver create la principale tra le armi destinate a cancellare dalla faccia della terra gli aborigeni della ancor non scoperta America. E quando Colombo scoprì questa America non sapeva che, così facendo, risvegliava a nuova vita la schiavitù già da lungo tempo superata in Europa e gettava le basi per il commercio dei negri. Gli uomini, che con il loro lavoro produssero la macchina a vapore, tra il diciassettesimo e il diciottesimo secolo, non avevano affatto il presentimento di costruire lo strumento che più d'ogni altro era destinato a rivoluzionare la situazione sociale di tutto il mondo, a procurare in particolare alla borghesia, in un primo tempo, il predominio sociale e politico, attraverso la concentrazione della ricchezza nelle mani della minoranza e la totale espropriazione della stragrande maggioranza, per generare poi tra borghesia e proletariato una lotta di classe, che può aver fine solo con l'abbattimento della borghesia e l’abolizione di tutti i contrasti di classe. Ma anche in questo campo noi riusciamo solo gradualmente ad acquistare una chiara visione degli effetti sociali mediati, remoti, della nostra attività produttiva, attraverso una lunga e spesso dura esperienza, e attraverso la raccolta e il vaglio del materiale storico; e così ci è data la possibilità di dominare e regolare anche questi effetti. |
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Ma per realizzare questa regolamentazione, occorre di più che non la sola conoscenza. Occorre un completo capovolgimento del modo di produzione da noi seguito fino ad oggi, e con esso di tutto il nostro attuale ordinamento sociale nel suo complesso. Tutti i modi di produzione fino ad oggi esistiti si sono sviluppati avendo di mira i risultati pratici più vicini, più immediati, del lavoro. Le ulteriori conseguenze manifestantisi solo in un tempo successivo, operanti solo per graduate accumulazione e ripetizione, rimanevano del tutto trascurate. L'iniziale proprietà collettiva del suolo corrispondeva da una parte a uno stadio di sviluppo dell'uomo, che limitava in generale il suo orizzonte alle cose più vicine, e presupponeva d'altra parte una certa abbondanza di terreno a disposizione, che consentiva un certo giuoco di fronte ad eventuali cattivi risultati di quell'economia primitiva di tipo forestale. Esauritasi questa sovrabbondanza di terreno, si disgregò anche la proprietà collettiva. Ma tutte le forme superiori di produzione hanno portato alla divisione della popolazione in diverse classi e con ciò al contrasto tra classi dominanti e classi oppresse; con ciò però l'interesse della classe dominante diveniva l'elemento che dava impulso alla produzione, nella misura in cui quest'ultima non si limitava alle più indispensabili necessità di vita degli oppressi. Questo processo si è sviluppato, nella maniera più completa nel modo di produzione capitalistico oggi dominante nell'Europa occidentale. I singoli capitalisti, che dominano la produzione e lo scambio, possono preoccuparsi solo degli effetti pratici più immediati della loro attività. Anzi questi stessi effetti - per quel che concerne l'utilità dell'articolo prodotto o commerciato - vengono posti completamente in secondo piano: l'unica molla della produzione diventa il profitto che si può realizzare nella vendita.
La scienza borghese della società, l'economia politica classica, si occupa soprattutto degli effetti sociali immediatamente visibili dell’attività umana rivolta alla produzione e allo scambio. Ciò corrisponde completamente all'organizzazione sociale, di cui essa è l'espressione teorica. In una società in cui i singoli capitalisti producono e scambiano solo per il profitto immediato, possono esser presi in considerazione solo i risultati più vicini, più immediati. Il singolo industriale o commerciante è soddisfatto se vende la merce fabbricata o comprata con l'usuale profittarello e non lo preoccupa quello che in seguito accadrà alla merce o al compratore. Lo stesso si dica per gli effetti di tale attività sulla natura. Prendiamo il caso dei piantatori spagnoli a Cuba, che bruciarono completamente i boschi sui pendii e trovarono nella cenere concime sufficiente per una generazione di piante di caffé altamente remunerative. Cosa importava loro che dopo di ciò le pioggie tropicali portassero via l'ormai indifeso «humus» e lasciassero dietro di se solo nude rocce? Nell'attuale modo di produzione viene preso prevalentemente in considerazione, sia di fronte alla natura che di fronte alla società, solo il primo, più palpabile risultato. E poi ci si meraviglia ancora che gli effetti più remoti delle attività rivolte a un dato scopo siano completamente diversi e per lo più portino allo scopo opposto; che l'armonia tra la domanda e l'offerta si trasformi nella sua opposizione polare, come mostra l'andamento di ogni ciclo industriale decennale (e anche la Germania, nel “crac”, ne ha esperimentato un piccolo preludio); ci si meraviglia che la proprietà privata basata sul lavoro personale porti come necessaria conseguenza del suo sviluppo alla mancanza di ogni proprietà per i lavoratori, mentre tutti i possessi si concentrano sempre di più nelle mani di chi non lavora; che... [qui il manoscritto si interrompe] |
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Da uno scritto di F. Engel (1876?), quale prima parte di uno studio Sulle tre forme fondamentali della servitù, promesso a W. Liebknecht per il giornale Volksstaat. Il saggio non fu mai terminato e lo scritto apparve per la prima volta nel 1896, sulla rivista Die Neue Zeit. La versione italiana qui proposta è in Dialettica della natura, Editori Riuniti, Roma 1971.
In alto: Luciano Trina, Ricostruzione materialista dell'Universo (particolare). Il tema della "caccia alla volpe" era presente anche in HDS-Maroquineries - Origine della valigia. |
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